Patto di quota lite: questioni di deontologia professionale


Patto di quota lite illegittimo se non proporzionato all’esito
Cassazione civile . SS.UU., sentenza 19.10.2011 n° 21585 (Maria Elena Bagnato)

E’ illegittimo l’aumento del compenso richiesto in virtù del patto di quota lite, se sproporzionato rispetto all’impegno del professionista ovvero al risultato positivo della controversia.
E’ quanto disposto dalle Sezioni Unite Civili, Corte di Cassazione, nella sentenza 27 settembre-19 ottobre 2011, n. 21585.
Il caso di specie riguardava un avvocato che aveva impugnato dinanzi alla Corte di Cassazione la decisione con la quale il Consiglio Nazionale Forense, in parziale riforma della pronuncia del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Trani, gli aveva comminato la sanzione della censura in luogo di quella irrogata dal COA della sospensione dalla professione forense per due mesi. L'addebito contestato riguardava la violazione dell'art. 45, p.1, del Codice Deontologico Forense, perché il professionista aveva concordato  con il proprio assistito, in aggiunta al compenso previsto, un supplemento ulteriore, non contenuto in limiti ragionevoli, nè giustificato dal risultato conseguito, in riferimento alla domanda introduttiva.
Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente ha denunciato la nullità del procedimento a causa del mutamento della composizione del COA al momento di adottare la decisione, rispetto a quella esistente alla prima udienza, nonché l’"omessa o erronea o contraddittoria valutazione delle risultanze probatorie".

La Suprema Corte ha condiviso la decisione del Consiglio Nazionale Forense, che ha giudicato inammissibile l'eccezione relativa al mutamento del Collegio in quanto non dedotta nel corso del procedimento amministrativo ed infondata perché a tale procedimento non si applica il principio dell'immutabilità del collegio giudicante. La pronuncia impugnata, ha sposato l’ermeneutica precedentemente espressa dalla Cassazione, secondo cui: “In tema di procedimento disciplinare a carico di avvocati, la censura di irregolare composizione del Consiglio dell'ordine per mancata rituale convocazione di tutti i membri dello stesso, ove la relativa eccezione non sia già stata sollevata nel corso del procedimento disciplinare dinanzi al medesimo Consiglio dell'ordine, non può essere dedotta, come motivo di impugnazione, dinanzi al Consiglio nazionale forense, né, tanto meno, per la prima volta, dinanzi alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione” (Cass. S.U. 4 maggio 2004, n. 8431; 6 luglio 2005, n. 14214 e 28 ottobre 2005, n. 20997).

Ad avviso dei giudici di Piazza Cavour, è parimenti inammissibile la richiesta di una revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti in punto di fatto e delle valutazioni delle risultanze processuali operate dal Consiglio Nazionale Forense ed è, quindi,  atteso che le stesse Sezioni Unite hanno già statuito che : “Le decisioni del Consiglio Nazionale Forense in materia disciplinare sono impugnabili dinanzi alle Sezioni Unite della Corte di cassazione, ai sensi dell'art. 56, terzo comma, del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge, nonché, ai sensi dell'art. 111 Cost., per vizio di motivazione: tale vizio, peraltro, deve tradursi in omissioni, lacune o contraddizioni incidenti su punti decisivi, dedotti dalle parti o rilevabili d'ufficio, sicché risultano inammissibili le doglianze con cui il ricorrente intenda far accertare in sede di legittimità i presupposti integranti una situazione di necessità, scriminante, in presenza della quale il medesimo non avrebbe potuto non tenere il comportamento censurato dall'organo disciplinare, risolvendosi in accertamenti in punto di fatto e valutazioni delle risultanze processuali che non possono essere oggetto di controllo in sede di legittimità” (Cass. S.U. 4 febbraio 2009, n. 2637).
Inoltre, la Cassazione si è pronunciata sul concetto di proporzionalità del corrispettivo preteso dal ricorrente, argomentando cheesso deve essere individuato tenendo conto dell’attività professionale svolta e del risultato conseguito.
In effetti, le Sezioni Unite hanno ritenuto che il compenso aggiuntivo, richiesto dal professionista, in caso di esito favorevole della causa di risarcimento danni,  non deve essere tale da rappresentare una ingiustificata richiesta, a favore del difensore, dei vantaggi economici derivanti dalla vittoria della lite (Cass. 13 maggio 1976, n. 1701), in quanto ciò si pone in palese violazione del divieto del patto di quota lite (secondo la vecchia formulazione dell'art. 45 del Codice Deontologico Forense, applicabile alla fattispecie in oggetto).
La rilevanza economica del compenso pattuito in relazione al valore della lite è stata ritenuta, con congrua motivazione, come evocativa di un vietato "patto di quota lite" e la valutazione del collegio è insindacabile in sede di legittimità. Per tali motivi, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso del professionista, confermando la pronuncia del C.N.F.
(Altalex, 16 novembre 2011. Nota di Maria Elena Bagnato)

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